Cosa fare in caso di abuso del congedo parentale?
L’ordinamento giuridico italiano riconosce il diritto di astenersi dal lavoro da parte di un genitore definendo i tempi e le modalità di godimento del c.d. congedo parentale.
Il congedo parentale rappresenta un diritto riconosciuto ad entrambi i genitori lavoratori di astenersi facoltativamente dal lavoro garantendo il “soddisfacimento dei bisogni affettivi e relazionali del figlio” derivanti dalla presenza del genitore.
Come riconosciuto dal “Testo Unico per la tutela ed il sostegno della maternità e della paternità” emanato con D.Lgs. 151/2001 e successivamente modificato con D.Lgs. 80/2015 nonché da ultimo dal D.Lgs. 179/2016, ciascun genitore ha il diritto di assentarsi dal lavoro per un periodo cumulativo non superiore a 10 mesi (aumentabili a 11 solo in determinati casi) durante i primi dodici mesi di vita del bambino, ben potendo frazionare tale periodo in mesi, settimane, giorni o ore.
In particolare, in ragione della fruizione del congedo parentale, sarà dovuta alle lavoratrici e ai lavoratori una indennità pari al 30% fino al sesto anno di vita del bambino, estendibile fino all’ottavo anno a favore delle famiglie disagiate.
Trascorso quindi il periodo di congedo obbligatorio di maternità per la madre lavoratrice, per la durata complessiva di 5 mesi ( questi sono ripartibili in due mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi dopo il parto o in un mese precedente la data presunta del parto e quattro mesi successivi allo stesso), la donna potrà usufruire di un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi.
Riguardo il padre lavoratore, questo ha diritto ad un periodo continuativo o frazionato non superiore ai 6 mesi elevabile a 7 laddove il padre lavoratore eserciti il proprio diritto di astensione per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a 3 mesi.
Il congedo parentale è un diritto riconosciuto e garantito dalla condotta del genitore, che deve essere orientata alla cura del figlio, nonché al “soddisfacimento dei bisogni affettivi e relazionali del bambino al fine dell’armonico e sereno sviluppo della sua personalità e del suo inserimento nella famiglia” (Corte Cost. n. 371/2003).
La mancanza di un’attività in favore del bambino, si traduce in un abuso del congedo parentale. Lo svolgimento dell’attività lavorativa nella sua essenza impedisce al padre lavoratore di essere presente nel quotidiano sviluppo del bambino. Il congedo parentale da così la possibilità per lo stesso di astenersi dalle proprie attività lavorative con lo scopo di svolgere un’attività che sia diretta alla cura del figlio, garantendo il soddisfacimento di tutte quelle esigenze che la presenza del padre è in grado di assicurare.
La stessa Corte di Cassazione in una recente pronuncia (Sent. N. 509 dell’11 gennaio 2018) ha respinto il ricorso proposto da un padre lavoratore. Questi, infatti, dopo aver fatto richiesta del periodo di congedo parentale, contravveniva ai propri doveri assistenziali. Tale inadempienza è stata documentata successivamente in sede processuale attraverso il materiale video fotografico prodotto da un’agenzia investigativa su mandato conferito dal datore di lavoro.
Invero, i giudici di legittimità, nella sentenza in oggetto, affermavano che “il lavoratore non aveva svolto alcuna attività a favore del figlio, con uno sviamento della funzione tipica per la quale il congedo parentale era stato concesso, diretto a sostenere i bisogni affettivi e relazionali del figlio, attraverso una condotta capace di integrare, anche sotto il profilo dell’elemento intenzionale, un comportamento idoneo alla ravvisabilità della giusta causa del recesso”.
A parere della Suprema Corte, il congedo parentale si configura come un diritto potestativo, caratterizzato da un comportamento con cui il titolare realizza da solo l’interesse giuridicamente tutelato ben potendo, tuttavia, la legge richiedere, al momento della concessione del beneficio, il rispetto di alcuni oneri formali con l’ulteriore possibilità anche da parte del soggetto passivo di verificare, con l’ausilio di strumenti di controllo, aventi valenza probatoria riconosciuta dalla legge, il comportamento del lavoratore.
A fronte di una condotta “lesiva della buona fede altrui” che priva il datore di lavoro della prestazione lavorativa del dipendente si ravvisa al contempo l’ulteriore “indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico”.
La Corte da ultimo ribadisce il principio secondo cui, sebbene il lavoratore possa astenersi dal lavoro nei primi 8 anni di vita del figlio, con la percezione di una indennità commisurata ad una parte della retribuzione, si è in presenza un diritto che il padre lavoratore può esercitare sia nei confronti del datore di lavoro che nei confronti dell’ente previdenziale erogante l’indennità, garantendo in tal modo, attraverso la propria presenza, il soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino ed il pieno inserimento dello stesso nella famiglia. Il diverso utilizzo del diritto di congedo parentale e quindi lo svolgimento di attività differenti dal soddisfacimento dei bisogni del proprio figlio, si traduce in un abuso del diritto stesso.
Ciò rende possibile valutare siffatto comportamento idoneo ad una giusta causa di licenziamento se l’attività svolta dal soggetto non fornisce alcun contributo all’organizzazione della famiglia.
Rinaldo Testa
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