L’investigatore privato offre un servizio molto richiesto in quanto rappresenta l’evoluzione della società ed il modus vivendi delle persone, risponde a quell’esigenza di immediatezza di cui oggi si necessita.
Colui che si trova in possesso di un titolo valido da far valere, ricorre sempre più spesso all’investigatore privato. Questo, a corredo di un’attività svolta conformemente ai dettami di legge, offre un prodotto finale che, se presentato in giudizio dalle parti, ed a maggior sostegno del diritto vantato, può assumere un valore probatorio validamente utilizzabile in sede processuale.
Il riconoscimento da parte del nostro sistema del principio cardine della “libertà degli strumenti probatori” ammette a richiesta di parte quelle prove che siano conformi alla legge e funzionali al processo.
PROVE TIPICHE
Tradizionalmente si distinguono le prove cosiddette tipiche, in ossequio alla codifica del legislatore ed alla loro consacrazione all’interno del codice di procedura penale alle quali lo stesso rivolge una specifica disciplina.
PROVE ATIPICHE
Le prove atipiche sono strumenti non codificati e dunque non disciplinati dalla legge, ammessi in sede processuale solo dopo un’attenta valutazione discrezionale dell’autorità giudiziaria sulla base della loro funzionalità. Lo stesso giudice valuterà così la prova motivando i risultati acquisiti e i criteri adottati, nonché dichiarando la sua inammissibilità laddove risulti inidonea ad assicurare l’accertamento dei fatti.
COSA FA L’INVESTIGATORE PRIVATO
L’attività svolta dall’investigatore privato e la stesura di una relazione dettagliatamente prodotta rappresenta un esempio di atipicità della prova laddove ammessa dal giudice all’interno del processo.
Il Tribunale di Milano con sentenza del 17 luglio 2013 nel tentativo di fare chiarezza sulla natura del rapporto investigativo afferma come questo possa rientrare fra le prove atipiche tuttavia mediante l’utilizzo di alcuni accorgimenti.
Ed infatti, gli stessi giudici di legittimità, con riferimento ad una relazione notarile per la quale era stata esclusa la natura sia di atto pubblico che di scrittura privata, affermava con sentenza n. 5440/2013 che:
“Pur non essendo vietato, come costantemente affermato dalla Giurisprudenza di questa Corte […] la possibilità di porre a fondamento della decisione prove non espressamente previste dal codice di rito, purché sia fornita adeguata motivazione della relativa utilizzazione […] deve tuttavia escludersi che le prove c.d. “atipiche” possano valere ad aggirare divieti o preclusioni dettati da disposizioni, sostanziali o processuali, così introducendo surrettiziamente elementi di prova che non sarebbero altrimenti ammessi o la cui ammissione richieda adeguate garanzie formali”
Pertanto, tenuto conto del principio vigente nel nostro ordinamento del libero convincimento del giudice, lo stesso potrà porre, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, a base del già menzionato convincimento anche le più volte discusse prove atipiche, fornendo tuttavia un’adeguata motivazione della relativa utilizzazione in ordine alla loro utilità ed alla pertinenza nell’ambito del processo.
In particolare, secondo il Tribunale di Milano con provvedimento dell’8 aprile 2013, il prodotto fornito dall’investigatore privato costituito non solo da una relazione scritta, ma anche dal materiale video fotografico vengono in parte intesi, con riferimento alla loro valenza probatoria, quali “scritti del terzo” rappresentano una prova atipica.
A tal proposito si distingue tra gli scritti “neutri” del terzo e gli scritti formati in funzione testimoniale, in quanto redatti da terzi nell’interesse della parte finalizzati a formare il convincimento del giudice in relazione ad una tesi sostenuta.
Quanto agli scritti neutri il documento scritto proveniente da un soggetto diverso dalle parti in causa aventi un interesse nell’ambito della controversia potrà assumere il valore di indizio supportato tuttavia da altri elementi probatori.
Laddove invece lo scritto rappresenti una deposizione testimoniale lo stesso avrà efficacia probatoria a pieno titolo a patto che venga acquisito in forma orale o secondo le modalità indicate e sancite dall’art. 257 bis c.p.c. secondo cui, al primo comma, stabilisce che il giudice può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato, stabilendo in tal modo l’efficacia della solo testimonianza scritta purché resa in conformità alle prescrizioni indicate nel precedente articolo, considerando così elusiva delle forme di legge stabilite ogni modalità di acquisizione diversa da quella fissata dal legislatore stesso.
Per ciò che concerne invece gli scritti provenienti da terzi gli stessi assumeranno nel processo valore di presunzioni in relazione alle quali il giudice potrà operare una valutazione secondo il suo “prudente apprezzamento” che dovrà però ritenere dimostrato il fatto purché dette presunzioni siano gravi, precise e concordanti. Secondo tale orientamento il deposito della relazione investigativa nell’ambito del processo non sarà quindi da sola sufficiente a costituire prova, ma si renderà necessaria la presenza dell’investigatore che citato in qualità di testimone renderà dichiarazioni in merito a quei fatti frutto di una percezione diretta dello stesso non potendo utilizzare le dichiarazioni rese dallo stesso.
In ordine al valore che la relazione dell’investigatore privato può assumere nelle more di un processo appare altresì utile richiamare una recente pronuncia giurisprudenziale con la quale la Suprema Corte, con sentenza n. 11516/2014, ha riconosciuto la liceità degli elementi raccolti dall’investigatore privato sancendo la validità probatoria del rapporto investigativo prodotto in giudizio sebbene in deroga al principio del giusto processo perché fondata su elementi raccolti de plano.
Nel caso di specie il marito, avvalendosi dei servizi forniti da un investigatore privato atti a provare l’infedeltà della moglie, produceva successivamente in giudizio la relazione investigativa supportata dal materiale video fotografico. La moglie procedeva così a contestazione ponendo in discussione la validità di tali elementi sulla base della ritenuta violazione del principio del contraddittorio tra le parti avendo assunti detti elementi in assenza delle relative garanzie. A tal proposito i giudici di legittimità ritenevano valido il materiale prodotto rappresentando lo stesso prova dell’infedeltà coniugale della moglie tuttavia antecedente alla domanda di separazione avanzata dal marito sulla base delle date risultanti dai tabulati telefonici e dalle fotografie ed attribuendo in tal modo valore a dati oggettivi e non alle mere deduzioni dell’investigatore privato.
Da ultimo lo stesso Tribunale di Milano con sentenza del 1 luglio 2015 ha confermato la natura atipica della relazione investigativa sufficiente da sola a fondare la colpevolezza del coniuge infedele laddove quest’ultimo, in ossequio al principio di non contestazione sancito dall’art. 115 c.p.c., non ne contesti il contenuto. Di tal che, il fascicolo documentale fornito dall’investigatore assumerà a pieno titolo valore probatorio in sede processuale e solo in caso di contestazione specifica della controparte il contenuto del rapporto investigativo dovrà essere confermato probatoria mediante escussione testimoniale dell’investigatore privato.
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